martedì 5 novembre 2013

NON MORIREMO DEMOCRISTIANI

NON MORIREMO DEMOCRISTIANI. L’ANTIDOTO È PROPRIO NELLE ‘LARGHE INTESE’ di ALBERTO BENZONI dall’AVANTI ONLINE del 04 ottobre 2013 Quello che è avvenuto in questi giorni è certamente una tragicommedia. Ma al tempo stesso è almeno nelle intenzioni di chi l’ha promosso, una operazione politica fondante. Come ha sottolineato Letta, c’è una maggioranza numerica, quella raggiunta con il tardivo concorso di Berlusconi e perciò stesso irrilevante, mentre è assolutamente rilevante quella costruita con la collaborazione attiva di Alfano. E rilevante al punto di comportare, almeno in prospettiva, un radicale riallineamento del sistema. Si è parlato, al riguardo, di “ritorno della democrazia cristiana”. E, in un certo senso, lo è. Ma per ragioni che non hanno niente a che fare con le origini di molti protagonisti dell’operazione, e molto, invece, con la sua natura. Il fatto è che, in questi giorni d’ottobre, si è esplicitamente dichiarata la fine della seconda repubblica. Si constata, insomma, il fallimento del bipolarismo basato su leggi elettorali maggioritarie, e per la totale inadeguatezza dei suoi due protagonisti. E si punta dunque sull’intesa stabile tra i medesimi, con l’Europa come garante-custode esterno e con leggi elettorali che ne garantiscano i diversi interessi. Ai margini di questo grande spazio di centro, potenzialmente abilitato a governare senza limiti di tempo, i partiti colpiti dal “fattore P” e cioè i populisti di destra e di sinistra, per definizione inabilitati a svolgere funzioni di governo. Ma l’esperienza della vecchia Dc è oggettivamente irripetibile. I suoi leader hanno governato lungo l’arco di decenni una società in espansione dove era possibile rispondere, con sempre nuove mediazioni, a diverse e sempre nuove esigenze. Letta e Alfano dovranno amministrare la penuria, spostando qua e là risorse limitate e sotto il controllo invadente e severo dell’Europa. E, allora, il loro ruolo specifico non sarà quello di risolvere i problemi, ma di gestire al meglio i conflitti. In questo quadro, il governo delle larghe intese non ha, in realtà, alcun limite di tempo. Perché l’obiettivo principale dei suoi promotori è quello di allontanare quanto più possibile le elezioni, contrastando, in ogni modo, i propositi di coloro – da Renzi ai falchi del Pdl - che puntano ad anticiparne la data con la speranza, più o meno concreta, di vincerle. Nella visione pedagogica del Quirinale, queste sarebbero invece il peggiore dei mali. In apparenza perché nessuno è in grado di affrontarle al meglio, in realtà perché nessuno meriterebbe di vincerle ( grazie a un sistema che consente alla coalizione che prende un voto in più dell’avversaria di intascare il 55% dei seggi…). Mentre è nell’interesse del Paese che i capofila delle due opposte coalizioni collaborino, e al più a lungo possibile. “Nell’interesse del Paese”, “per il bene del Paese”. Una formula magica che è oggi sulla bocca di tutti: di Napolitano, degli editorialisti dei maggiori quotidiani, dell’immortale Scilipoti. Una formula che i dirigenti democristiani della prima repubblica non si sarebbero mai sognati di usare a giustificazione della loro vocazione permanente al governo. E questo perché, nella loro infinita saggezza sapevano benissimo che la politica è il luogo naturale dei conflitti e quindi delle diverse possibili mediazioni tra i medesimi, e che questi conflitti sono arbitrati dagli elettori. Oggi, invece, si condanna l’idea stessa di conflitto, in nome appunto dell’interesse del Paese. Nella convinzione, peraltro (e non a caso) mai chiaramente espressa che la collaborazione tra opposti sia funzionale alla ricerca della “linea giusta” che è una e una sola. “Democrazia sospesa”? “Democrazia guidata”? Come sapete, aggiungere un aggettivo ad un sostantivo, significa svilire il valore del medesimo. Nel nostro caso non sarà certamente così. E allora, c’è da sperare che l’esperienza delle larghe intese serva non già ad omologare destra e sinistra, ma a renderle “diversamente diverse”.