lunedì 23 dicembre 2013

LA QUESTIONE SOCIALISTA

LA QUESTIONE SOCIALISTA Intervento di Alberto Benzoni alla presentazione del libro di Claudio Martelli alla sezione di Roma centro di martedì 17 dicembre 2013. "Ricordo, da militante e osservatore attivo e appassionato del movimento socialista, di avere, come dire, guardato a Martelli con attenzione e speranza in almeno quattro importanti circostanze. Nel primo caso, eravamo agli inizi degli anni ottanta, al tempo del comitato centrale che doveva mettere in minoranza e/o sotto tutela Bettino Craxi e che mancò totalmente questo duplice obbiettivo. Facevo parte, allora, come rappresentante della mozione di Achilli, del gruppo di lavoro che doveva redigere il documento conclusivo. Gruppo di lavoro di cui faceva parte anche Martelli. E ricordo che Martelli recepiva con sorridente e cortese noncuranza ogni nostra richiesta: "mai più al governo senza i comunisti", "Lombardi presidente del partito" e via discorrendo. Fu per me un'illuminazione. Fino ad allora ero convinto che scrivere una cosa su di un pezzo di carta fosse di per sè necessario e sufficiente per ottenerla. Da allora in poi ho continuato a scriverne; ma per abitudine (non so fare altro) e senza alcuna illusione sul loro valore oggettivo. Il secondo appuntamento è quello a tutti noto; l'iniziativa di Martelli dell'estate del 1993. Quella che si prefiggeva di "restituire al partito il suo onore", e che fu troncata nella sua fase decisiva dall'intervento a gamba della magistratura. Allora ero totalmente d'accordo con Claudio; e, anche dopo la lettura del suo libro, lo sono ancora di più oggi. Ci siamo poi incontrati pochi anni dopo, nel 1999, ai tempi della candidatura di Martelli alle europee, con la sua successiva elezione, in contrapposizione, guarda un po’, a Nencini, deputato uscente e, guarda un po’, appoggiati dal piccolo establishment Sdi. Un'altra grande occasione, per trasformare quel piccolo nucleo, diventato poi sempre più piccolo, da cooperativa di mutuo soccorso, in formazione politica. Un'altra occasione mancata. In buona parte, lo dico qui e mi fermo, per responsabilità dello stesso Martelli. Ma qui entriamo nel campo del carattere e della psicologia, delle terribili tensioni e degli odi reciproci e dei sensi di colpa esplosi dopo la morte di Craxi. Un universo davanti al quale mi fermo in silenzioso rispetto. L'ultimo appuntamento, almeno per me come compagno socialista in procinto di diventare una "vecchia bandiera", è quello di oggi. Quello del libro e dell'uso politico del libro. Penso che Martelli abbia scritto cose decisive e definitive sulle ragioni del nostro crollo; e, conseguentemente (è questo il punto che mi interessa e su cui vorrei concludere il mio piccolo intervento) sulle ragioni che, da vent'anni a questa parte, ci hanno impedito di rinascere, condannandoci,anzi , ad una decadenza inarrestabile. Sulle ragioni del crollo, concordo in tutto e per tutto sulle tesi di Claudio (formulate anche nella sua intervista per il libro di Acquaviva. E mi limito ad aggiungere una piccola testimonianza personale. Ricordo che il mio atteggiamento verso Craxi somigliava un po’ a quello che avevano avuto molti ex giacobini nei confronti di Napoleone: irritazione profonda per lo stile della sua politica e, come dire, per l'ambiente. Ma adesione altrettanto profonda per il suo disegno; insomma per l'idea che attraverso di lui passasse l'alternativa mitterrandiana e cioè l'unica alternativa oggettivamente possibile al sistema di potere esistente. Ero, allora, acraxiano. Per passare, però, ad un'ostilità (politica, mai personale) totale dopo l'intervista (eravamo verso la fine del 1991) dello stesso Craxi all'Indipendente in cui enunciava, senza riserve e senza problemi, il suo proposito di continuare a collaborare con la Dc negli anni a venire. Allora mi è cascato veramente il mondo addosso. Ciò detto vorrei aggiungere qualcosa a quello che Martelli dice del partito. E' vero che questo ha rappresentato, in quegli anni, un peso morto. Ma non solo, come dice, Martelli, per le sue pratiche; ma anche per l'orizzonte in cui si muoveva. Nessuna progettualità ; ricerca del denaro e del potere; delega del pensiero e dell'azione politica al vertice; identificazione, tacitamente autorizzata dal vertice, delle sorti del socialismo italiano e del suo successo, con le fortune personali di individui e di gruppi; adesione al Capo ma nessuna solidarietà orizzontale o collettiva. Perché dico questo? Perché il crollo del socialismo o più esattamente la sua mancata rinascita collettiva - di questo sono dolorosamente ma assolutamente convinto - è, certo dipesa dall'uragano esterno; ma anche, e, per dirla tutta, in misura crescente da un terribile limite interno: e cioè dalla rotale identificazioni degli interessi del socialismo con quelli di individui e gruppi che ad esso solo formalmente si richiamavano. Preso giustamente dalla nostra specifica catastrofe ci siamo così dimenticato che la rivoluzione di Tangentopoli non è stata soltanto una rivoluzione giudiziaria contro il personale politico della prima repubblica; e, segnatamente contro i socialisti. Ma è stata anche e soprattutto, una rivoluzione culturale contro i valori e i principi su cui grazie soprattutto ai socialisti si era costruita, nell'arco di decenni, la nostra democrazia repubblicana; e, quindi, segnatamente, una rivoluzione antisocialista. La prova è nei fatti. Nel disastro di diritti, di partecipazione, di istituzioni, di solidarietà che accompagna, sin dall'inizio, la vita della seconda repubblica. E in un ciclo apparentemente senza fine. Cose che sapete benissimo. E che aprono un bisogno di socialismo, potenzialmente, fortissimo; al quale non siamo stato in grado di offrire un minimo di risposta. Per questo abbiamo bisogno di Claudio. A partire proprio, e su questo concludo, da una riflessione illuminante che appare nel volume sul "Crollo". Insomma dal fatto che con il crollo dei socialisti e, insieme, del socialismo si rompe il rapporto tra modernità e mondo del lavoro. In un circolo vizioso in cui la modernità appare anzi è uno strumento di attacco nei confronti del mondo del lavoro; e questo è spinto, conseguentemente, ad arroccarsi in una difesa perdente contro gli effetti e le pratiche della stessa modernità. Per ricostruire questo rapporto, per offrire ai più deboli e ai giovani una prospettiva c'è bisogno di una nuova forza politica ma anche di nuove idee riformiste. Perciò il nostro Martelli non può sperare di lanciare il sasso e nascondere la mano. Novanta presentazioni del suo libro alimenteranno molte attese e molte speranze. Insomma, una domanda cui "non potrà dire di no".