venerdì 5 ottobre 2012

A PROPOSITO DEL REFERENDUM SULLO STATUTO DEI LAVORATORI

A PROPOSITO DEL REFERENDUM SULLO STATUTO DEI LAVORATORI

Così come nel 1970, con lo Statuto dei lavoratori, i socialisti indicano nuovamente
la strada giusta per tutelare davvero il lavoro anche nelle sue forme del tutto nuove  


Quelli che oggi si fanno paladini dell’intoccabilità dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sono gli stessi che lo accolsero con molta tiepidezza allorquando i Socialisti, con il ministro Giacomo Brodolini e col giuslavorista Gino Giugni, lo fecero approvare dal Parlamento nella primavera del 1970.
Sicuramente oltre 40 anni fa lo Statuto dei lavoratori e il suo articolo 18 erano commisurati a un mercato del lavoro che ora non c’è più. È però vero che la riforma del lavoro voluta dal Governo Monti e approvata dal Parlamento è in larga parte ampiamente inefficace per affrontare i problemi dell’oggi: la nostra critica nel merito è proprio questa.
Proporre oggi un referendum sull’articolo 18 riformato significa soltanto fare una operazione politica di facciata, né più né meno come fu nel 1970 per sostenere la tesi contraria. E si sa che i referendum su temi sensibili come questo non uniscono ma dividono i lavoratori; così come la divisione su un falso problema non aiuta la sinistra a essere una sinistra di governo e potrebbe condannarla a rimanere minoritaria.
Ma veniamo al merito.
L’articolo 18 non regola né i licenziamenti individuali né quelli collettivi, che sono invece normati, rispettivamente dalla legge 166 del 1963 che definisce anche la “giusta causa” e dalla legge 223 del 1991; l’articolo 18, viceversa, regola le modalità di reintegro o di compensazione economica una volta definito l’aspetto principale del licenziamento; ma è sicuramente stato un deterrente, se è vero come è vero, che in tutt’Italia, dal 1970 ad oggi, i casi realmente giudicati in base all’articolo 18 sono stati poche migliaia.
Sono ben altri i temi del lavoro che richiederebbero di essere affrontati, dagli ammortizzatori sociali, al precariato, dalla formazione all’occupazione giovanile e femminile: in altre parole, non si può partire dal tetto (l’art. 18) piuttosto che dalle fondamenta e dimenticare quanti non hanno invece nessuna tutela; in altri termini servirebbe una legislazione che tuteli maggiormente tutti i lavoratori o, per meglio dire, che tuteli il lavoro, anche nelle sue forme del tutto nuove: dallo Statuto dei lavoratori allo Statuto dei lavori è la nostra idea per una moderna riforma del lavoro.  
Anche se l’art. 18 riformato è analogo a quanto stabilito in molte altre legislazioni europee in materia, francamente sarebbe stato meglio lasciare le cose come stavano, per non solleticare inutilmente pregiudizi ideologici favorevoli o contrari: non è infatti sicuramente l’art. 18 ad avere creato vantaggi o svantaggi allo sviluppo dell’occupazione, né è ad esso che si possono imputare le debolezze strutturali del sistema Italia e del nostro mercato del lavoro.
  
Ravenna, 4 settembre 2012     





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