lunedì 1 aprile 2013

Vengo anch’io? No, per il momento….

Adesso non ci siete più, tranne te, Gino, che mi rapivi con le tue melodie e quei testi mai convenzionali fatti di sassi, di stanze e di gatti della tua Genova. E tranne te, Francesco, che continui a raccontare le tue storie rintanato nella tua Pavana. Tranne voi due se ne sono andati tutti i miei compagni musicali di gioventù. Per primo Luigi, in quel freddo gennaio del 1967.  Avevo solo quindici anni e venni colpito da un dramma vissuto quasi in diretta. Il suicidio di Tenco a Sanremo, un colpo alla tempia, l’ho vissuto come un tragico atto di ripulsa di un mondo sbagliato e da cambiare dalle fondamenta. Trasformarono quel giovane di ventinove anni in un artista di successo dopo morto, ma io già conoscevo e conservavo i suoi dischi: da “Mi sono innamorato di te” a “Ho capito che ti amo”, fino a “Lontano, lontano” e all’ultima drammatica “Ciao amore ciao”. Li strimpellavo con la mia chitarrina Eco. Poi Fabrizio, che già mi aveva impressionato quando cantava “Il testamento” e “La ballata del Michè” e che diceva per primo “puttana” in italiano e ce l’aveva coi preti, ma amava Gesù a cui dedicò una splendida canzone e la raccolta “La buona novella”. Se n’è andato il grande Giorgio Gaber, che aveva segnato coi suoi spettacoli gli umori di una generazione, ironizzando sui tanti luoghi comuni, smascherando tanti falsi miti. Se n’é andato Lucio Battisti, il più commerciale, ma che aveva saputo rompere vecchi schemi musicali e concepire la canzone, cogli incisivi, originali e anticonvenzionali versi di Mogol, come un discorso in musica, anche costellato di improvvise grida, di spezzoni di ritornelli, di imprevedibili e continue riprese musicali, di dialoghi retorici, quali “Scusi lei mi ama o no? Non lo so però ci sto”. E dalle emozioni filtrate dalla nebbia del primo mattino. Se n’è andato Bruno Lauzi, il più colto, il più fine, il più tenero, ma anche il più ironico dei cantautori. L’uomo di "Ritornerai" ma anche di "Vanda", che per primo ci fece conoscere l’arte di Paolo Conte. E da poco ci ha lasciato per sempre anche Lucio Dalla, jazzista, e poi artista e poeta, che ci ha descritto il mare, il cielo, e l’auto di Nuvolari, oltre che la morte di Caruso. Adesso è toccato a te, caro Enzo, cantore di barboni, che portavano scarpe da tennis, che s’innamoravano e che venivano trovati morti in un buco di cartone. Che cantavi di uno che aveva visto un re, di un altro che non poteva mai recarsi a nessun appuntamento senza motivo, di un altro ancora che “se perde l’Inter o il Milan dice che è solo una partita di calcio” e poi va a casa e picchia i figli. Ci hai parlato della tua Milano nebbiosa, della bellezza di avere qualcosa da aspettare, di Veronica e del cinema Carcano, della banda dell’Ortiga e di Bobo telegrafista. Ci hai descritto l’amore degli zingari che arrivano al mare e di Vincenzina davanti la fabbrica, e anch’io mi sono commosso per quella tua voce spinta e sguaiata, così volutamente poco intonata, ma densa di accenti e di colori. E adesso mi chiedo cosa farete tutti insieme lassù, dove siete, chissà, forse un concerto, il più grande concerto di tutti i tempi. Per dirla con le parole appropriate, un concerto dell’altro mondo. Noi, momentaneamente di qua, continuiamo ad ascoltarvi, a ringraziarvi e a volervi bene.
  On. Mauro Del Bue